
LE ESPLORAZIONI ARCHEOLOGICHE DALL’OTTOCENTO AI GIORNI NOSTRI
Abstract del saggio presente nel volume “Tra pietra e acqua. Archeologia delle Grotte di Pertosa-Auletta”
L’imponente ingresso della grotta, la presenza di un torrente interno ricco di copiose acque e, infine, un millenario culto sotterraneo dedicato all’Arcangelo Michele, sono i motivi per cui la cavità è stata da sempre nota alle popolazioni del luogo e ai viaggiatori di passaggio. Sino alla fine dell’Ottocento l’interesse archeologico del sito era completamente sconosciuto a tutti: si deve a Paolo Carucci, medico appassionato di archeologia, la scoperta delle prime testimonianze riferibili ad antiche frequentazioni umane. Nel corso del 1898 l’antro iniziale ospitò due campagne di scavi, effettuate a poca distanza di tempo l’una dall’altra e condotte la prima da Giovanni Patroni, Vice Ispettore del Museo Nazionale di Napoli, la seconda dallo stesso Carucci.
La cavità svelò il suo potenziale archeologico restituendo numerosi manufatti in ceramica, pietra, osso e metallo, inquadrabili cronologicamente in un lungo arco di tempo, esteso dalla preistoria all’età greco-romana. Gli scavi, inoltre, palesarono la presenza di due livelli sovrapposti di strutture lignee, interpretate come palafitte e costruite a ridosso del torrente sotterraneo.
In seguito le ricerche si interruppero per un marcato innalzamento artificiale delle acque, sbarrate all’ingresso della grotta per la costruzione di una diga. Questa situazione congelò ogni ulteriore ricerca per centosei anni, sommergendo il giacimento archeologico ad una profondità variabile tra 2 e 4 metri. Solo nel 2004, e poi ancora nel 2009 e nel 2013, gli archeologi sono potuti ritornare sulla superficie dell’antico deposito antropico, sfruttando ogni volta episodi di svuotamento completo dell’invaso idrico artificiale. In tali occasioni gli studiosi hanno avviato attività di esplorazione nell’alveo del torrente, ma anche di documentazione topografica e fotografica, censendo e campionando molte strutture lignee affioranti dai limi del fondale per successive analisi di laboratorio. Il recupero di numerosi reperti archeologici, inoltre, ha permesso di comprendere fin dove l’uomo si era spinto all’interno della cavità.

FELICE LAROCCA
Università degli Studi di Bari Aldo Moro, Gruppo di ricerca speleo-archeologica
Centro Regionale di Speleologia “Enzo dei Medici”, Commissione di Ricerca per l’Archeologia delle Grotte, Roseto Capo Spulico